giovedì 26 settembre 2019

Sul futuro della nostra Chiesa - bis

In merito all'articolo, non firmato, comparso su Voce del 18 settembre 2019 ( https://voce.it/it/rubrica/1/opinione-voce-carpi/senza-vescovo-alcune-domande-opinione-del-19-settembre ) rispondo volentieri, per quanto possa essere utile una mia risposta, ad alcune delle domande poste dall'ignoto autore, cogliendo l'invito al dialogo e al confronto.

Andiamo per ordine, una per una.

Quante delle 38 parrocchie sono oggi rette da clero di origine diocesana? 
Risposta: circa 20, l'apporto dei sacerdoti provenienti da fuori è senza dubbio importante. Ma non banale è l'impegno dei diocesani fuori "confine": Mons.Allegretti in Benin, Mons. Manicardi a Roma, Don Vecchi e Don Bigarelli a Parma. Insomma è una bilancia che si contrappesa forse pendendo leggermente di più verso l'apporto di esterni, ma non pare una situazione scandalosa per questo - anzi - è un modo concreto di sperimentale l'universalità della Chiesa nel nostro piccolo territorio.

Quante lo potranno essere in un non lontano futuro, stante l’età dei sacerdoti ora impegnati, in rapporto ai seminaristi locali?
Ancora meno, è evidente. Così come qualsiasi diocesi italiana vive un momento drammatico rispetto al numero di sacerdoti in forza e le parrocchie/uffici da gestire.
Infatti un eventuale accorpamento con Modena non risolverebbe i problemi di Carpi, anzi, la situazione non cambierebbe sostanzialmente per nulla.
Basti pensare che in Italia nel 2012 i sacerdoti erano circa 48.000 e solo quattro anni dopo, nel 2016, erano 34.810. Una picchiata di -14mila preti in 4 anni.
Le diocesi più grandi e quelle del nord sono ovviamente quelle che incassano maggiormente il colpo. Ancora statistiche: nell'Arcidiocesi di Modena-Nonantola i sacerdoti diocesani sono 219 nel 2000, diventano 167 nel 2016 e - stimiamo- intorno ai 150 oggi. Anche oltre il Secchia si sono "arresi" nel cercare sacerdoti stranieri - specie polacchi - poichè le ordinazioni annuali si annoverano in poche unità, quando ci sono, e questi numeri sono ovviamente destinati a scendere ancora.
Interessante la loro sperimentazioni di accorpamento delle parrocchie. Un buon lavoro a Carpi fu fatto da Mons.Tinti con le 8 zone pastorali, ancora attive, ma da potenziare nella modalità di condivisione e di gestione di celebrazioni, catechismo, attività, sagre, campi estivi.
Personalmente non mi fa paura una Chiesa guidata da un vescovo con 20/25 preti e altrettanti diaconi. Dobbiamo essere consapevoli che questi saranno i numeri del prossimo futuro.
Se prendiamo Modena mi immagino una situazione simile ma con 50/60 preti e un territorio molto più vasto da gestire.

La pur preziosa presenza di presbiteri provenienti da altre parti d’Italia e dall’estero non è forse la prova più eloquente di un rilevante deficit di potenzialità operativa propria della nostra realtà ecclesiale?
Cosa sia la potenzialità operativa non ci è noto. Tuttavia credo che la provenienza sia un fattore abbastanza secondario: ci sono preti nostrani che si danno da fare in tutti i modi, altri più in difficoltà, ma questo vale anche per gli stranieri. Ci sono sacerdoti che provengono da fuori che hanno preso a cuore le comunità che sono loro affidate e le animano con intensità e con gioia.


Consideriamo poi le importanti integrazioni già in essere con Modena (formazione comune dei candidati al sacerdozio, partecipazione all’unico Studio Teologico, all’unico Istituto di Scienze Religiose e all’unico Tribunale ecclesiastico) e la prospettiva ipotizzata da mons. Castellucci (ulteriori collaborazioni per l’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero, alcuni uffici pastorali e la formazione permanente dei presbiteri, dei diaconi e dei ministri istituiti). Se si andrà in questa direzione, come suggerirebbe la logica di un impiego razionale delle risorse, ciò che resterà di esclusiva e autonoma competenza diocesana potrebbe giustificare la permanenza di una complessa struttura giuridica a sé stante? 
Questo è un punto importante.
La complessa struttura giuridica va da sè che se sarà alleggerita non sarà più cosi complessa. Le collaborazioni in ottica di metropolia o ancora meglio regionale sono un passaggio necessario e fondamentale.  Tuttavia il canone definisce la diocesi in questo modo: «La diocesi è una porzione del popolo di Dio, affidata alle cure pastorali del vescovo, coadiuvato dai suoi presbiteri, in modo che, aderendo al proprio Pastore, e, per mezzo del Vangelo e della SS. Eucaristia, unita nello Spirito Santo, costituisca una Chiesa particolare, nella quale è presente e opera la Chiesa di Cristo, Una, Santa, Cattolica e apostolica»
Quindi dobbiamo sforzarci di ripensare la diocesi non come struttura, un insieme di uffici, clerico-centrica e clericalizzata ma considerando maggiormente il coinvolgimento di laici, movimenti e associazioni (vero motore di coinvolgimento sul territorio) nell'impegno pastorale.
Liberarsi di strutture o ripensarle può aiutare a porsi domande più decisive sul nostro Annuncio: siamo capaci di celebrare la Liturgia in modo adeguato e degno? siamo una Chiesa capace di annunciare la gioia del Vangelo di Gesù Cristo? Siamo capaci di farlo nelle scuole, nei luoghi di lavoro, di sofferenza, in strada? Siamo capaci di accogliere, integrare e promuovere l'altro, specie se povero, disabile, anziano, solo, straniero, carcerato? Siamo un Popolo di Dio che dialoga con le altre religioni? Siamo capaci di generare la nostra libertà e quella dell'altro? Siamo capaci di ascoltare i deboli e gli emarginati, facendo nostre le loro miserie e le loro voci?
Queste sono le vere domande da porci, per capire che Chiesa siamo e che Chiesa vogliamo diventare.
Ci sono decine di persone in diocesi con entusiasmo e competenze, che vanno coinvolte, nelle commissioni, nei tavoli di lavoro, nelle attività pastorali e caritative.


Si intende infine opportuno tener conto del ripetuto invito del Papa ai vescovi italiani ad adeguare le diocesi al rispettivo territorio provinciale, o lo si ritiene trascurabile e addirittura controproducente sul piano pastorale?
Papa Francesco su questo tema era partito in quinta marcia, rendendosi poi meglio conto delle complessità italiane e anche delle perplessità della CEI. Certamente ci possono essere aggiustamenti da fare e alcune piccolissime diocesi da accorpare. Tuttavia la voce più autorevole in questo senso credo siano le Conferenze episcopali regionali. Senza un piano organico credo si possano fare più danni che altro. Tuttavia l'amministrazione apostolica di Carpi ha evidentemente un'altra ragione.
Vedo poi improbabile accorpare in una diocesi provinciale molti casi attuali (es. Tortona o altre)

Qualora, per ragioni sostanziali da considerare senza pregiudizi e con la dovuta ponderazione, si convenga che tutto resti come ora, i problemi sopra citati dovranno essere comunque affrontati, con un profondo ripensamento delle relazioni e delle modalità gestionali ed operative della nostra diocesi. E ciò in un quadro di efficaci integrazioni con quella di Modena, nonchè sulla base delle indicazioni concrete ed ineludibili della Evangelii gaudium, il testo programmatico e riformatore di papa Francesco.
Su questo sono d'accordo con l'autore, l'ineludibilità della Evangelii gaudium dovrà essere riferimento anche per il futuro, che auspico, della diocesi di Carpi, così come la piena attuazione dei suoi organi consultivi ad ogni livello.

C'è poi un tema che è la fraternità. La diocesi rappresenta una comunità, sgangherata se vogliamo, ma unica. Se ci si "diluisce" in un contenitore più grande ci sarà un sapore diverso e questo inciderà sulla nostra fraternità. Ad multos annos cara diocesi di Carpi.
Per te Odoardo ha dato la vita, ora tocca a noi impegnarci.